Incontriamo il professor Francesco Bovenzi, direttore della cardiologia al San Luca e organizzatore di CardioLucca
Pubblichiamo l’intervista al professor Francesco Bovenzi, direttore della cardiologia al San Luca di Lucca e al Santa Croce di Castelnuovo Garfagnana e organizzatore di CardioLucca, meeting sulla cardiologia giunto quest’anno alla dodicesima edizione.
Professor Bovenzi, per iniziare tracciamo un bilancio di questa ultima edizione di CardioLucca, la dodicesima:
Un’edizione molto partecipata che ha visto la presenza dei più grandi cardiologi del panorama nazionale confrontarsi sulle tematiche più importanti e attuali del cuore e dei vasi. Il titolo stesso “Il labirinto del cuore” parla da solo: cercare il filo d’Arianna per uscire dai meandri delle complessità cardiovascolari, tanto è labirintico il disordine del cuore e dei vasi.
Come ha progredito negli ultimi anni la scienza medica nel settore della cardiologia?
La cardiologia è senza dubbio una delle discipline più evolute della moderna medicina e tra le branche della medicina interna è quella che sicuramente ha fatto più strada, ricordiamo che solo 50 anni fa la sopravvivenza a un infarto era purtroppo frutto del caso, oggi, invece, i passi avanti sono stati tali che potremmo quasi dire di poter bloccare l’evoluzione di un infarto se riusciamo a intervenire nelle prime ore dal suo inizio. E questo grazie anche a sonde e cateteri che ci hanno aiutato a svelare i vecchi misteri del cuore. Nel nostro territorio (ndr. la provincia di Lucca) i dati raccontano che l’aumentata sopravvivenza alle malattie cardiovascolari ha ottenuto i migliori risultati di tutta l’area vasta.
Quali sono le frontiere e le sfide future della cardiologia?
La più importante è senz’altro quella organizzativa, il punto è che deve esserci, e ancora non c’è, una buona armonia a tutti i livelli della sanità, dai medici, ai tecnici, al personale infermieristico e tutta la filiera assistenziale. Un altro punto rilevante è mettere a frutto le conoscenze e fare ciò che le linee guida ci indicano di fare, per questo servono continui adattamenti che a volte stentano ad arrivare rispetto a quello che è la pratica clinica, ad esempio l’applicazione di device e dispositivi, oppure, nel nostro caso, l’importanza di poter disporre di una seconda sala di emodinamica all’ospedale San Luca che, di certo, migliorerebbe e accrescerebbe l’assistenza territoriale.

Quali sono le maggiori criticità nel nostro territorio?
La carenza di fondi. Ci vogliono maggiori risorse, questo ci permetterebbe di accrescere, ad esempio, tutto il turnover assistenziale. Va da sé che le risorse, sia umane sia tecnologiche, devono essere erogate a seconda dei dati di produttività che è poi il modo razionale per distribuirle.
Quali sono i contesti in cui la cardiologia oggi si esprime al meglio?
Sono aumentate le conoscenze in alcune patologie, ad esempio, lo scompenso cardiaco che per tanti anni ha visto, a differenza di oggi, un’alta mortalità che non si riusciva ad abbattere. Abbiamo poi la possibilità, con le tecniche di imaging, di definire meglio alcune cardiopatie, come le miocarditi, che nel periodo invernale, dai dati in nostro possesso, sono diventate davvero tante. La possibilità di applicare tecniche di imaging come la risonanza magnetica ci consente di fare diagnosi ben precise e contestualizzate, per esempio, lo studio dei flussi coronarici, che all’ospedale San Luca applichiamo in maniera non invasiva, permette di accrescere l’appropriatezza del percorso assistenziale di molti pazienti con cardiopatica ischemica, oppure l’ecocardiografia e la transesofagea, che ci danno la possibilità, in molti contesti di valvolopatie, di definire meglio la gravità e la quantità dei rigurgiti e delle stenosi valvolari, al fine poi di poter indirizzare la chirurgia.
Ci ripetiamo in continuazione che la prevenzione è importante, lo diciamo così spesso che ciò può apparire scontato e perdere importanza agli occhi di molti…
E’ vero, ma tutta la problematica delle malattie cardiovascolari si gioca sulla sfida della prevenzione che è ancora, purtroppo, molto sottostimata dalla popolazione e anche, devo ammettere, dalla classe medica. Prevenzione vuol dire un occhio attento sin dalla giovane età a quelli che sono gli stili di vita, correggendo quelli che vengono riconosciuti come fattori di rischio e cioè: la sedentarietà (che è il fattore di rischio più importante), l’uso di sostanze nocive come ad esempio il fumo di sigaretta, la familiarità, l’ipertensione e il diabete. Ma quando si parla di prevenzione non ci si deve riferire solo a quella primaria. Per noi cardiologi l’attenzione deve essere massima anche e soprattutto in prevenzione secondaria, e qui fortunatamente possiamo disporre di presìdi farmacologici che definirei sacri e intoccabili, pensiamo alle tanto criminalizzate statine, che sono in realtà un caposaldo fondante della cardiopatia ischemica nella prevenzione secondaria.
Nel quotidiano, come dobbiamo regolarci?
Il bicchiere di vino non si nega a nessuno, e non fa certo male indulgere in tali piccole quantità, il problema sta nel mancato equilibrio, non dobbiamo eccedere con nessuno degli alimenti, specialmente proteine e zuccheri, ma distribuirli nell’arco della giornata e mixarli con frutta e verdura e, importantissimo, associarli sempre a una costante attività fisica, che vuol dire fare almeno 30/40 minuti al giorno di una semplice camminata.
Il problema è il tempo che manca sempre…
La mancanza di tempo, il correre sempre a tutte le ore con l’ansia costante di non fare in tempo è esso stesso un grave fattore di rischio. Se ci manca anche il tempo di una passeggiata (che come detto, risolverebbe gran parte dei problemi) vuol dire che siamo in una spirale di stress pericolosa e che le nostre abitudini vanno assolutamente riviste. Il movimento e il controllo del peso, specialmente per chi ha alterata glicemia a digiuno, sono molto più efficaci di qualsiasi terapia ipoglicemizzante.
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