Le stagioni del cervello: come il calendario può cambiare il nostro umore e le nostre capacità intellettive
Chi non ha mai chiesto una ‘cura ricostituente’, per poter meglio affrontare l’alternanza umorale e quella eventuale flessione della funzionalità psichica che il ‘cambio di stagione’ sembra comportare?
Il Dr. Enrico Marchi -Psichiatra e Psicoterapeuta– ci spiega come le stagioni possano influire sul nostro cervello in questo articolo.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Pnas (rivista dell’Accademia delle scienze degli Stati Uniti), le stagioni possono influenzare in maniera significativa il funzionamento del nostro cervello, ed anche se da tempo si sa che in inverno si soffre di più di depressione, è la prima volta che stagionalità e capacità cognitive vengono messe in relazione da uno studio scientifico.
Molti studi hanno già dimostrato che parte del genoma umano reagisce in maniera diversa con il mutare delle stagioni, così come è stato verificato che nel corso dell’anno cambia il livello di certi neurotrasmettitori (come la serotonina).
È stato documentato inoltre come la stagionalità influenzi il funzionamento del corpo, per non parlare del comportamento e dell’umore. Si è constatato, per esempio, che i concepimenti si concentrano in inverno e in primavera, mentre il tasso di suicidi aumenta durante la bella stagione. Non c’è da sorprendersi, dunque, che alcune funzioni cerebrali vengano influenzate dal ciclo stagionale.
Per scoprire le ‘stagioni’ del cervello, i neuroscienziati coordinati da Gilles Vandewalle (ricercatore dell’Università di Liegi che ha coordinato lo studio), e Christelle Meyer hanno messo alla prova 28 volontari, sottoponendoli ad una serie di test in diversi momenti dell’anno. Ad ogni tornata, ciascun partecipante è stato chiamato a trascorrere quasi 5 giorni chiuso in laboratorio, in modo da non risentire direttamente di fattori stagionali come la luce solare. Al termine di questo breve periodo di isolamento, i ricercatori hanno valutato l’attività cerebrale dei volontari sottoponendoli ad una risonanza magnetica funzionale durante l’esecuzione di due test mirati a misurare le capacità cognitive.
I risultati dell’esperimento, pubblicati sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences hanno mostrato che le performance del cervello rimangono costanti durante l’anno, mentre cambiano le risorse che l’organo attiva per eseguire i diversi compiti. Le attività cerebrali legate all’attenzione, ad esempio, raggiungono il picco massimo a giugno, a ridosso del solstizio d’estate, mentre sono al minimo in corrispondenza del solstizio di inverno. Le attività cerebrali legate alla memoria a breve termine, invece, sono al massimo durante l’autunno, mentre raggiungono il livello minimo all’equinozio di primavera.
Si potrebbe dire che, per ottenere gli stessi risultati, il cervello deve impegnarsi di più o di meno – e anche utilizzare strategie diverse – a seconda della stagione. Secondo gli autori della ricerca, ciò significa anche che ‘il costo’ della cognizione (cioè le risorse impiegate o a disposizione) è più alto in certi periodi dell’anno, ovvero – in altre parole – che per concentrarsi o imparare ci sia da faticare di più.
I dati riportati dell’esperimento sono spiegabili considerando il movimento della Terra intorno al Sole e la conseguente variazione della lunghezza del fotoperiodo (cioè la durata dell’illuminazione diurna e l’intensità delle radiazioni), che presenta differenze di intensità e composizione della luce.
Inoltre, sempre secondo questa ricerca, queste oscillazioni non ricalcano quelle degli ormoni, come ad esempio la melatonina, e neppure altri parametri neurofisiologici come il ciclo sonno-veglia. Alcune funzioni cerebrali dunque andrebbero al di là dei ritmi circadiani giornalieri e risentirebbero delle stagioni più di quanto immaginato finora, con oscillazioni specifiche per ciascun processo cognitivo.
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