Legge sul Biotestamento: il consenso libero e informato della persona

Legge sul Biotestamento: il consenso libero e informato della persona

Pubblichiamo un intervento a firma di Antonio Bellizzi di San Lorenzo, Professore aggregato di Diritto Privato nell’Università di Firenze.

Il pilastro concettuale della Legge 22.12.2017 n.219 è il “consenso libero e informato della persona”, come presupposto imprescindibile per iniziare e/o continuare ogni trattamento sanitario. Con la precisazione normativa che il trattamento sanitario comprende pure “la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale”. Il che vuol dire che la persona non solo può rifiutare in tutto o in parte la cura da iniziare ma può poi revocare il consenso, a cura già iniziata. E fin qui non ci sono novità rispetto ai principi normativi che già prima della legge si potevano evincere dagli articoli 13 e 32 della Costituzione. Adesso invece l’articolo 5 della Legge 219 prevede espressamente ‘il diritto di revocare il consenso prestato anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento’. Potendo estrinsecarsi il concetto di “interruzione”, tanto in un comportamento inattivo quanto in uno attivo, la disposizione arriva dunque a contemplare una ipotesi specifica e tassativa di ‘eutanasia attiva’ (il famoso ‘staccare la spina’ per intendersi), rigorosamente però contestualizzata in una documentabile relazione di cura in atto: trattasi dunque d’ipotesi scriminante per il solo soggetto che abbia la qualifica di “medico” (art.1 comma 6), eccezionale rispetto al quadro normativo penale vigente dei reati di ‘omicidio del consenziente'(art.579 c.p.) e di ‘istigazione o aiuto al suicidio'(art. 580 c.p.).

Ai sensi dell’art.2, qualunque sia la decisione del paziente, ”è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative”.

Sullo sfondo di questi principi giuridici e non meramente morali, ogni persona maggiorenne può prevedere delle ‘Disposizioni anticipate di trattamento’ (DAT), per ipotesi di future situazioni, in cui la stessa persona venga a trovarsi in condizione di non potersi autodeterminare. In tali DAT si può indicare anche un fiduciario che rappresenti la persona incapace. Le DAT devono esser redatte, modificate o revocate con le forme stabilite ex art.4 comma 6 della Legge 219: atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero scrittura privata consegnata personalmente dall’interessato all’ ufficiale di stato civile del Comune di residenza, che le annota in un apposito registro (in regioni con modalità telematiche di gestione cartella clinica, le DAT confluiscono in un fascicolo sanitario elettronico del singolo). Tuttavia in caso le condizioni fisiche del paziente non rendano possibili le suddette forme, le DAT possono esplicarsi tramite videoregistrazioni o altri dispositivi tecnici adatti a superare i limiti fisici espressivi dell’interessato. Come pure, in caso di emergenza ed urgenza che impedisca la revoca di DAT precedenti con le relative forme con cui siano state rilasciate, le DAT possono essere sempre revocate “con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di 2 testimoni”.

Quindi deve essere sottolineato con forza che, poiché il consenso per essere “libero” dev’essere -oltre che effettivamente ‘informato’- sempre ‘attuale’ rispetto al momento in cui il problema si presenta, ecco che regola cardine del complesso normativo è la modificabilità e revocabilità delle decisioni assunte dal paziente in qualsiasi momento. Il vincolo decisionale che scaturisce dunque dal consenso del paziente rispetto ad una cura, ovvero da una DAT preventiva è sempre un vincolo per i terzi (sanitari ed altri soggetti) e mai per il paziente stesso che può sempre insindacabilmente avvalersi del suo esclusivo diritto di cambiare idea.

Il medico è dunque vincolato al rispetto delle DAT tranne che appaiano ”palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita”(art.4 comma 5).

Tuttavia, per quanto riguarda il diritto ad obiezione di coscienza, questo deve riconoscersi al singolo medico, come ipotesi circostanziata di sua coscienza radicata nell’etica professionale (arg. ex art.1 comma 6, secondo periodo Legge 219), mentre non può riconoscersi un’obiezione di coscienza “di struttura”. Pertanto, ogni struttura sanitaria pubblica o privata deve previamente organizzarsi per sopperire ad eventuali obiezioni di coscienza dei singoli operatori sanitari.

Nel caso di conflitto tra fiduciario e medico, è previsto ricorso al giudice tutelare per dirimere il conflitto.

In caso di persone minori o incapaci, il consenso informato è espresso ovviamente dai genitori ovvero dal tutore.

Bisogna altresì sottolineare come il “consenso informato” richieda una effettiva informazione con parole davvero fruibili dal paziente in concreto e non è riducibile ad un feticcio cartaceo burocratico-liberatorio per la responsabilità medica, in termini di modulino liquidatorio da far firmare al paziente: art 1 comma 2 “ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile…”

Antonio Bellizzi di San Lorenzo,

Professore aggregato di Diritto Privato nell’Università di Firenze

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