Scuola e famiglia insieme contro la pedofilia
Pubblichiamo un interessante intervento di Carmelo Dambone, Psicologo clinico – psicoterapeuta. Presidente della Società Italiana di Psicologia Clinica Forense.
I dati statistici rilevano che la pedofilia è un fenomeno sempre più complesso, che nella rete trova nuove forme di espressione. I ragazzi trascorrono buona parte della giornata a comunicare in rete e l’aspetto che maggiormente deve farci riflettere è che già in età prematura (in alcuni casi già dai 8 o 9 anni) molti bambini, facendo un uso inappropriato del sistema, diventano facili prede di adulti con finalità sessuali. Generalmente gli adolescenti sono predisposti nel fare amicizia e creare legami. Gli adulti adescatori fingendosi coetanei conquistano l’amicizia del minore fintanto a solidificarla, creando un legame di fiducia indissolubile.

Solo in quel frangente l’adulto ricercherà immagini o video di tipo sessuale, inducendo il minore a credere che ciò è normale e che lo fanno tutti i suoi coetanei.
Dietro questi adulti ci possono essere soggetti con disturbi psichici e, molto spesso, organizzazioni criminali che utilizzano minori a fini di prostituzione minorile. Dietro gli atti, anche di violenza, non ci sono comportamenti impulsivi ma una sorprendente pianificazione.
Difficile trovare un’unica motivazione che spinge le giovani vittime ad esporsi alle bramosie di uomini adulti.
Forse uno stile educativo estremamente autoritario, genitori assenti e/o in conflitto. È necessario allora analizzare a fondo il nucleo familiare, il contesto di riferimento e il gruppo amicale.
Mi piace pensare alla definizione dello psichiatra Vittorino Andreoli, dove alla domanda: “chi è un bambino?” Risponde: “un processo in divenire”.
Aggiungo che in quel “divenire”, le figure genitoriali devono essere “sintonizzate” con il minore e non solo “presenti” fisicamente, allerti a placare bisogni materiali per ancorare arcaiche frustrazioni.
Non di meno la scuola deve fare la sua parte, in un patto di corresponsabilità con la famiglia. Ripensare alle agenzie educative come polo di osservazione privilegiato, dove riconoscere e segnalare il disagio.
Alla cronaca arrivano i fatti eclatanti ma forse dovremmo riflettere che alle tante storie di vita esplose in contesti familiari, altre non fanno rumore, vivono nell’ombra, nel silenzio, nell’indifferenza disarmante di chi è impegnato a fare altro.
L’azione di prevenzione non deve passare dal proibizionismo della rete ma attraverso un processo di informazione e formazione, su più livelli, fra tutti gli attori che orbitano nel mondo del minore, in un’ottica di integrazione tra i professionisti.
Come detto è necessario ripensare ad un patto di corresponsabilità tra le agenzie educative: scuola – famiglia.
Contro crimini di tale entità è necessario un costante impegno di tutti gli organi istituzionali in una logica multidisciplinare dove tutti compartecipano nell’affrontare il fenomeno delittuoso.
Sensibilizzare il mondo sociale attraverso una campagna che coinvolga, come parte attiva, da una parte la vittima con una maggiore consapevolezza dei rischi ma anche l’autore, affinché ritrovi un’affettività matura.
Potremmo tranquillamente affermare che è necessario ricercare di ri-educare gli adulti con disagio all’affettività. Da lì il passo è breve per innescare in loro qualcosa a cui molti di noi aspirano, la “felicità”. Voltaire diceva: “Soltanto i deboli commettono crimini: chi è potente e chi è felice non ne ha bisogno”.
Comment (1)
Solitudine del ragazzo ed assenza delle figure genitoriali ,unite alla delegittimazione della figura dell’insegnante inducono ,a mio avviso, da un lato alla omologazione dei singoli più suggestionabili nella logica del “branco” ,dall’altra la mancanza di figure reali di riferimento spinge alla ricerca di partner virtuali .Qui si inserisce il pedofilo sotto le mentite spoglie dell’adolescente amico ,comprensivo e complice.